Altri ambienti
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Sono matto lo so – non lo nascondo
esondano i colori sopra i muri
le ombre mi chiamano per nome
mi salutano i suoni mentre dormo.
Sono allucinato ma che importa
non voglio essere a norma – il mondo è stretto
in quest’antro d’inferno sono un re –
che cadano le sere negli abissi.
Non voglio essere a norma – non mi pento
costa l’ira di Dio la vostra vita
non mi conviene – scappo oltre confine
dove la libertà non è ragione.
Non so del tempo – noi non c’incontriamo
libero le ore dai soffitti
e la mia mente è un mondo in diagonale
con formule di geni che han tradito.
Voi dite che ho perso la ragione
che al mio pensiero mancano diottrie
ma non è vero – pazzi siete voi
che vi ammazzate (e dite che è normale)per un ideale.
Michela Zanarella è nata in Veneto a Campo S. Martino, e in questa regione ha trascorso parte della sua vita, fino a quando, nel 2007, si è trasferita a Roma, dove attualmente risiede.
Alcuni anni fa in seguito ad un serio incidente stradale, che le ha sconvolto l’esistenza, fino a insidiare la sua vitalità, ha scoperto che la poesia sarebbe stata il migliore alibi da offrire ai suoi giorni velati d’inquietudine e amarezza. La poesia le ha così permesso di affrontare quel momento critico di abbattimento, e andare oltre la fragilità che ne è derivata. Essendo d’indole combattiva, certo non arrendevole, è riuscita a superare la fase in cui il mondo pareva essersi fermato davanti a sé, frenando la sua esuberanza; ha potuto quindi sublimare in modo positivo il trauma quando la poesia, voce sommersa ma presente in lei,
le ha offerto un’autentica ragione per dare un senso alla sua esistenza.
Della poesia ne ha fatto un tramite per continuare a ‘dialogare’ con la vita; è stato un filo di seta esile ma ostinato che le ha aperto orizzonti inediti, percorsi interiori forse mai battuti prima di allora.
Il tempo sul quale si era stesa una coltre nera, è andato di là dalla prospettiva, lentamente si è illuminato con altre insegne, e una dopo l’altra le porte si sono schiuse verso una nuova direzione.
La poesia esisteva già in forma di ‘latenza’nei più riposti angoli del suo intimo, aveva solo necessità di una ‘scossa, un urto’ per emergere con impulsi più chiari. Le esperienze negative sono ‘esami’ non previsti che la vita ci chiede di sostenere, e alla fine resta sempre qualcosa nel suo vaglio.
Michela afferma d’essere maturata nel corso di questo amaro frangente, di avere opposto alla vulnerabilità del momento un’implacabile forza d’animo. Definisce la poesia ‘àncora di salvezza’, dunque richiamo interiore ineludibile che da allora ha seguito senza condizioni, senza chiedersi mai ‘come’ o ‘perché’ le circostanze l’avessero voluta al servizio di un’arte così affascinante.
La vita ha i suoi storni e i suoi rientri aleatori, del perché noi non sappiamo..
Dopo le prime esperienze il suo comporre in versi si è affinato, e in breve tempo ha acquisito la competenza di un autentico talento.
Ha pubblicato alcune raccolte in versi, ‘Credo’ ‘Risvegli’ ‘Vita, infinito, paradisi’ e una raccolta di racconti ‘Convivendo con le nuvole’.
“Quello sguardo ingordo di poesia
svaniva dietro impulsi astratti
d'autunno.
La morte molestò il suono
dei tuoi Navigli,
sconvolse il verde dei tuoi respiri..” – (I tuoi navigli -- dedicata ad Alda Merini)
I suoi versi sono stati tradotti in Francese, Inglese, Spagnolo e Arabo. Le sue pubblicazioni sono state molto apprezzate dal pubblico e accolte favorevolmente dalla critica. La prima raccolta in versi ha venduto oltre mille copie, e se si considera che la poesia è in qualche modo la Cenerentola della letteratura, soprattutto nella nostra società, troppo distratta da un ritmo frenetico e aberrante di vita, non è certo un dato trascurabile. I primi successi sono stati per l’autrice un incentivo, una spinta propulsiva che l’hanno gratificata sul piano personale e stimolata ad andare oltre. Ha conosciuto frattanto il compagno della sua vita, attore di teatro, che l’ha sempre supportata psicologicamente e sostenuta, inducendola a mettersi in discussione, ma sempre positivamente.
Così ha proposto al pubblico le sue opere, recitando le poesie davanti ad un sipario aperto, scoprendo che ogni esibizione è in fondo una sfida alle paure conscie e inconscie; la gente ascolta i suoi versi e non il tumulto della timidezza dissimulata con un volto dall’aria sicura e tanti sorrisi.
L’attrice Serena Grandicelli l’ha poi coinvolta in una rassegna tutta al femminile attraverso un ‘recital di poesie’ di cui hanno fatto poi parte altre attrici, come Elisabetta De Palo, tanto per citarne una.
Da un po’ di tempo segue l’ufficio stampa di eventi teatrali e spettacoli in genere, scrivendo anche recensioni per testate giornalistiche attive nella rete web. Ama molto la natura e tra loro il connubio è totale, ‘dualismo simbiotico’ evidente anche nei lirismi di tanti suoi testi poetici.
D – Quali sono i ‘luoghi’ privilegiati della tua poesia?
R - Certamente una parte della mia ispirazione è ferma alle mie radici Venete, nei ricordi vivissimi di un’infanzia vissuta a contatto di una natura esuberante e ricca di attrattive paesaggistiche e architettoniche.
D - In che modo la poesia ha catalizzato la tua sensibilità di artista, dopo l’episodio negativo dell’incidente?
R – E’ stata questione di sopravvivenza, credo, dopo la pausa seguita all’evento negativo di questa esperienza, ho avvertito un forte impulso di reazione, rigetto verso l’inettitudine che m’imponeva la circostanza. In quest’inversione di marcia, per così dire, complice è stato un aspetto peculiare del mio temperamento, la tendenza a lottare contro gli ostacoli, che mi ha poi permesso di scrutarmi dentro con attenzione e trovare quindi la chiave della svolta.
La poesia è stata quella chiave, la sola risposta che potessi dare al senso di prostrazione che solitamente accompagna simili frangenti; il mezzo che mi è stato porto come via d’uscita.
D – Per quel che riguarda la tua competenza, le capacità espressive, ti sei messa a confronto partecipando a competizioni letterarie o concorsi in genere?
R – Sì, non puoi prescindere.. nessuno, penso, scrive per blindare poi le proprie idee.
D – Quali i risultati?
Ottimi, direi. Ho vinto tanti premi e ricevuto riconoscimenti in questo ambito che mi hanno gratificato.
D – Ti hanno anche permesso – lo presumo dal tuo raccontarti – di conoscere persone importanti in questo campo, quali impressioni ne hai tratto dal confronti con i ‘grandi’?
R – Una buona impressione, ho imparato che l’umiltà è virtù non di rado trascurata, e che è facile indossare ‘un paio d’ali’.. l’Arte è in tutte le sue direzioni una strada di perfezionamento che ha un traguardo piuttosto lontano, sono pochi coloro che raggiungono la linea d’arrivo, nell’accezione più pura del termine.
D – Lo stile poetico che prediligi s’avvale di registri linguistici forti, uno stile ermetico post Ungarettiano, oppure ritieni che la semplicità sia la via più idonea a veicolare l’ideazione nel comporre versi?
R – Il mio credo sia uno stile personale, maturato secondo inclinazioni proprie e un sentire profondo che deriva da moduli espressivi e linguistici che sento a me congeniali, anche se, come tutti, ho i miei ‘referenti’ nel campo della poesia.. Uno di questi è Pier Paolo Pisolini.
Un grande artista Italiano dotato naturalmente di talento assolutamente eclettico, il cui estro, come sappiamo, si è manifestato nei più disparati orizzonti dell’Arte creativa. Un grande intellettuale che è stato fonte d’ispirazione anche per me. Sono peraltro orgogliosa d’essere presente nel suo sito ufficiale, e di risiedere a Roma proprio nel quartiere in cui egli ha vissuto.
Sono presente con alcune opere anche nel sito di Alda Merino, la cui produzione poetica è per me fonte di continua ammirazione e riferimento.
(Virginia Murru)
Michela Zanarella è nata in Veneto a Campo S. Martino, e in questa regione ha trascorso parte della sua vita, fino a quando, nel 2007, si è trasferita a Roma, dove attualmente risiede.
Alcuni anni fa in seguito ad un serio incidente stradale, che le ha sconvolto l’esistenza, ha scoperto che la poesia sarebbe stata il migliore alibi da offrire ai suoi giorni velati d’inquietudine e amarezza. Essendo d’indole combattiva, è riuscita a superare la fase in cui il mondo pareva essersi fermato davanti a sé, frenando la sua esuberanza; ha potuto quindi sublimare in modo positivo il trauma quando la poesia, voce sommersa ma presente in lei,
le ha offerto un’autentica ragione per dare un senso alla sua esistenza.
Della poesia ne ha fatto un tramite per continuare a ‘dialogare’ con la vita; è stato un filo di seta esile ma ostinato che le ha aperto orizzonti inediti, percorsi interiori forse mai battuti prima di allora.
D – Quali sono i ‘luoghi’ privilegiati della tua poesia?
R - Certamente una parte della mia ispirazione è ferma alle mie radici Venete, nei ricordi vivissimi di un’infanzia vissuta a contatto di una natura esuberante e ricca di attrattive paesaggistiche e architettoniche.
D – Per quel che riguarda la tua competenza, le capacità espressive, ti sei messa a confronto partecipando a competizioni letterarie o concorsi in genere?
R – Sì, non puoi prescindere.. nessuno, penso, scrive per blindare poi le proprie idee.
D – Quali i risultati?
Ottimi, direi. Ho vinto tanti premi e ricevuto riconoscimenti in questo ambito che mi hanno gratificato.
D – Lo stile poetico che prediligi s’avvale di registri linguistici forti, uno stile ermetico post Ungarettiano, oppure ritieni che la semplicità sia la via più idonea a veicolare l’ideazione nel comporre versi?
R – Il mio credo sia uno stile personale, maturato secondo inclinazioni proprie e un sentire profondo che deriva da moduli espressivi e linguistici che sento a me congeniali, anche se, come tutti, ho i miei ‘referenti’ nel campo della poesia.. Uno di questi è Pier Paolo Pisolini.
Un grande artista Italiano dotato naturalmente di talento assolutamente eclettico, il cui estro, come sappiamo, si è manifestato nei più disparati orizzonti dell’Arte creativa. Un grande intellettuale che è stato fonte d’ispirazione anche per me. Sono peraltro orgogliosa d’essere presente nel suo sito ufficiale, e di risiedere a Roma proprio nel quartiere in cui egli ha vissuto.
Sono presente con alcune opere anche nel sito di Alda Merino, la cui produzione poetica è per me fonte di continua ammirazione e riferimento.
(Virginia Murru)
Questa è una voce poetica che forma felice connubio con la natura esuberante di Ischia,
con i suoi aromi Mediterranei e le essenze della macchia, tra anse che si aprono improvvise e baie splendenti di riflessi marini, proseguendo poi in lievi depressioni che portano dolcemente verso il mare e i suoi sconfinati orizzonti, vi si scorgono cenni di rilievi e crinali, quasi a sottendere la fierezza di questi luoghi e della gente che la abita. Ecco, una voce, quella di Liga, che considero paradigma di questa terra, riscontro infatti un timbro forte ma anche lirismi che addolciscono il contesto; un darsi e un ritrarsi, come onda e risacca.
“Dalle speranze ora mi riposo
sul calendario è tutto chiaro come una cartolina
sfogliando immagini-fiorisce giugno..”
In quest’isola di grandi e antiche glorie, dove pare che anche Enea vi abbia sostato quando l’Italia per il mondo Greco era Esperia (Esperia è l’antico nome greco della penisola italiana, etimologia della parola Espera = sera: l’Italia infatti era per i Greci la terra ad Ovest, che si scorgeva in lontananza all’ora del tramonto..),
La Poesia qui sembra il naturale substrato, elemento che compensa, adorna. E’ solo poesia Ischia, la senti vibrare nell’aria, come un’arèa tra la brezza delle
giornate estive, ma anche nelle serate invernali, quando i suoni diventano più impetuosi,
e le onde hanno un linguaggio in codice che solo i pescatori possono comprendere.
Liga è una giovane donna Lettone amante della cultura e letteratura Italiana, conosce discretamente il nostro idioma e i suoi componimenti trasmettono un fascino particolare,
certamente nei suoi versi c’è freschezza e originalità che non lasciano indifferenti.
“In questo caos non ci sono strade
i volti non rientrano negli specchi
qui non posso trovare un indirizzo..” (Dalla raccolta poetica di Liga)
Ho letto le sue poesie per la prima volta tre anni fa e ne sono rimasta impressionata;
nei suoi ultimi testi ho notato una crescita notevole sul piano espressivo, una conoscenza più
profonda della nostra lingua l’hanno indubbiamente aiutata a veicolare pensieri ed emozioni
in maniera più limpida ed efficace.
Alcuni anni fa avevo rielaborato le traduzioni in Italiano di alcuni suoi testi poetici, penalizzati allora da una non perfetta padronanza della lingua, che non valorizzava la profondità dei suoi versi, semplicemente perché “pensare”un testo nel proprio idioma e poi tradurlo in una lingua straniera, comporta e implica approssimazioni semantiche e ‘arrangiamenti’ di carattere espressivo, che non possono mantenere le stesse aderenze e similitudini del testo originale.
C’è un detto famoso di un poeta Americano – Robert Frost: ‘Poesia è quel che si perde nel corso di una traduzione..’
C’è del vero in quest’affermazione, In certo qual modo vengono meno i frammenti di una linea di pensiero che aveva un coordinamento e un senso proprio, così come l’armonia dell’assetto fonetico, o semplicemente i suoni che le parole stesse sanno produrre.
Montale sosteneva che la poesia non ha necessità d’essere accompagnata da strumenti musicali, poiché se il verso è puro, privo di nodi e modulazioni estranei al suo equilibrio fonetico, la musica è già nel suono delle parole. E così, naturalmente, come un corso d’acqua che fluisce spontaneo, dovrebbe essere ascoltata.
La poesia di Liga è affascinante perché s’avvale di mezzi creativi e istintivi diretti, non s’avvertono gli artifici di elaborazioni eccessive. La mia personale impressione è che la sua visione del mondo abbia prospettive in sintonia con la semplicità della natura e i suoi spettacoli, talora sono suoni e voci simili a un mantra..
“Riempi il mio grembo
con stelle atroci – senza un nome
saranno venti dimenticati e logori
volti chiusi al futuro..”
Nell’ambito del suo repertorio, le figure retoriche sono solitamente coordinate e aperte, il lettore entra senza disagio in questi suoi interni esclusivi, panorami mentali che si presentano chiari, non si ha necessità di codici per comprendere i movimenti del pensiero, o espedienti linguistici da piegare alle proprie percezioni; è una strada già battuta, senza strategie contorte che ne pregiudichino la lettura.
Nonostante i cambia scena rapidi delle immagini, che quasi s’alzano dai versi in sequenze liriche e riflessi cromatici di notevole pregio, talora allusivi, velati di evanescenze, è fedele al
tema trattato.
Le ‘fughe’ sono appena accennate, ma incisive, perché il verso non è fragile, ha una sua forza artistica che coinvolge ed attrae.
“ A volte a settembre il sole ha i brividi
Sarà che pretendo te, perché no?
Se mancherà il tuo battito – almeno avrò i tuoi occhi..” (Dalla raccolta poetica di Liga../)
C’è un altro aspetto che mi sorprende nello stile di Liga, ed è appunto quel suo naturale estendersi al senso profondo di un sentire che ha una forte carica emotiva, come avesse un canale privilegiato per giungere al senso ultimo delle cose senza forzature, e il suo pensiero
allungasse ‘liane’ ovunque sulle idee e i suoi dinamismi
Leggendo i suoi versi, stupisce quel modo tutto suo di rivolgere l’occhio acuto dei sensi a una nuova visione della realtà, mai abbastanza inquisita, è uno spalancare continuo di porte socchiuse, un’irruzione nel lato più oscuro della vita e del proprio intimo, che ha il potere di cambiare il volto alla verità. E’ una caratteristica del suo stile, quello di trasporre immagini e cambiare con improvvise intuizioni, la ‘scena’, certi testi sembrano ‘narrazioni’ a due voci,
‘epifanie’, ambivalenze che rendono originali i suoi versi proprio in virtù di una logica compositiva che determina e conferisce un carattere preciso al suo stile personalissimo.
Versi come fasci di luce guidati da acume e talento artistico.
Virginia Murru
Il progetto culturale “La nostra Isola”, porta avanti i suoi obiettivi anno dopo anno con implacabile determinazione. E’ un panorama artistico che si arricchisce di talenti, voci che portano aria nuova all’interno del gruppo e completano lentamente con l’esuberanza dell’estro il profilo di questi orizzonti culturali. Nato dalle idee del primo pioniere – Bruno Mancini – il gruppo è diventato più consistente, motivato dalle numerose iniziative del suo fondatore. Col tempo è diventato compagine della realtà culturaledi Ischia, proprio perché ha saputo coinvolgere col suo fervore, i cardini più importanti e autorevoli, basti pensare alle manifestazioni culturali che hanno avuto luogo tra dicembre e gennaio nella Biblioteca Comunale dell’isola, alla disponibilità del prestigioso quotidiano ‘Il Golfo’ che da alcuni anni promuove e divulga le opere poetiche dei ‘pionieri’ del gruppo.
Un prospetto artistico dunque che non conosce sosta, che si afferma, realizza, esegue progetti che hanno il fine di veicolare la poesia, riconoscerle un ruolo preciso nella nostra società in quanto forma espressiva di un’Arte ancora misteriosa, affascinante. Le bellezze naturali di Ischia sono un degno compendio dell’Arte che vi si celebra con semplici riti, e soprattutto con umiltà.
Chi si pone al servizio della poesia può anche avere uno spirito intraprendente, ma deve indossare ‘i guanti bianchi’ dell’umiltà. Gli artisti che espongono le loro opere nella ‘vetrina’ allestita in onore della Poesia, sono dei virtuosi di quest’Arte, nel senso che essi ne professano ‘la fede’, e si attengono con serietà ai suoi semplici dogmi.
Protagonista di questa nuova pagina è Alessandro Ponticelli, un giovane e poliedrico artista che certamente rappresenterà una sorta di ‘plusvalore’ per il nostro gruppo.
Alessandro nasce a Sulmona (AQ), 31 anni fa, ha esordito come pittore e ama fortemente il potere visivo dei cromatismi sulla tela, ‘Perché il colore’ – sostiene – ‘è la danza della luce..’
Poi, 10 anni fa ha scoperto la poesia, e da allora l’Arte per lui scorre in due binari, perfettamente sincroni. Secondo Alessandro l’Arte della parola e quella dei colori sono figlie di una stessa Mater. Attingono del resto più dall’istinto che dalla ragione, respirano la libertà e non amano vincoli o catene sul piano espressivo.
“Con gentile indifferenza
Aspiriamo ad un certo tatto
Incassando i colpi da professionisti
E vivendo anche oggi un tipo
Di morte leggera che poi passa..”
La poesia di Alessandro è davvero grandiosa, egli è assolutamente padrone e interprete della parola.
I suoi lirismi sono ‘voli pindarici moderni’, la destrezza nel gestire il verso, l’abilità nel condurre il lettore fino all’ultima strofa, lasciandolo poi in chiusa, senza.. parole, è davvero straordinaria.
“Ma il fascino dell’uomo è nell’imperfezione
E poi d’estate a fine giornata la vita
Sembra avere sempre vent’anni..”
Alcuni anni fa ha pubblicato alcune raccolte di poesia per i tipi della Mauro Baroni Editore ‘Medicine scadute’.
In seguito con Edizioni progetto Cultura (Roma), ha pubblicato ‘Made in Italy’.
‘Favole da un manicomio’ invece è orientato sulla narrativa, si tratta infatti di una raccolta di racconti intrisi d’ironia, incursioni nel quotidiano la cui traccia è ‘la bilancia’ della mente umana, messa alla prova da una società che impone modelli e ritmi non di rado insostenibili.
Alessandro si dedica con successo sia alla pittura che all’Arte di scrivere in versi, ha maturato col tempo questa sorta d’ambivalenza; non le considera in ogni caso trasversali perché ognuna ha vie proprie d’espressione e tuttavia “nel piano inclinato” della sua attività artistica c’è un’asse che sfiora entrambe, estro e ideazione possono incrociarsi in un punto indefinito dei suoi virtuosismi, fino ad inquietarlo.
“E tu che scrivi sul cristallo
Appannato dal fiato
Un “per sempre”
Che venti secondi è durato.”
E’ l’immagine a sfiorare i vertici, saltare i ‘confini’, talvolta finendo in un oltre nel quale le due ‘sorelle’ s’incontrano lasciando tante domande sospese nella mente dell’artista.
Lo stile di Alessandro è vicino a quello dei poeti contemporanei, evita comunque di perdersi nel vuoto ‘del senso’, là dove la parola diventa retaggio di espedienti linguistici che finiscono nell’astrazione pura.
L’opera dei grandi della pittura è genesi o sviluppo? Radice o ramo?
Queste sono le domande alle quali l’artista col tempo dovrà rispondere, e non è detto che sia egli stesso a farlo direttamente, è possibile che la sua opera sia la migliore risposta.
Per ora il talento e la competenza sono ‘armi’ in dotazione al servizio di una bellezza che solo chi sa creare dal nulla può sperimentare.
Alessandro ha alle spalle un percorso di studi affatto in simbiosi con la poesia e la pittura, dopo il liceo classico ha frequentato la facoltà di Giurisprudenza, e pur non considerandosi un pentito, si può senz’altro affermare che abbia ampiamente tradito l’iter dei suoi studi.
D – Eri giovanissimo ‘all’epoca’ della tua prima pubblicazione, avevi bisogno di conferme, assenso, o semplicemente volevi affacciarti ‘nella piazza della poesia’ come prova di un traguardo raggiunto?
R – Non propriamente; ritengo che non si crei per se stessi, non credo ai cassetti chiusi, amo l’Arte in movimento, la dinamica del creare, la cui logica è quella di raggiungere gli altri, la gente. Tutto qui.
D – Sappiamo che scrivi e dipingi, e che ami entrambe queste forme espressive d’Arte, e tuttavia.. ‘ti senti più a casa quando scrivi o quando dipingi?’ – voglio dire.. quale delle due riesce a ‘sublimarti’ meglio?
R – Entrambe, per ora non ho tracciato lienee di demarcazione in questo senso.
D – C’è un episodio che ha configurato in qualche modo la simmetria fra la pittura e la poesia, facendoti capire l’essenzialità dell’una e dell’altra, e infine la necessità di tenere saldi nelle mani penna e pennello?
R – vivo in questo inquieto e continuo divenire, non le confondo – non si lasciano confondere – ma per quel che riguarda la consapevolezza di continuare a percorrere queste due strade, non ho alcun dubbio: è un percorso tracciato in me, e non c’è un episodio particolare che me le ha fatte avvicinare di più o allontanare, io vivo in questa simbiosi, semplicemente.
(Virginia Murru)
Italo Zingoni ha un rapporto stretto, quasi parentale con la Poesia, leggendo le sue liriche non si può che indugiare tra i versi, o rimbalzare in altri climi, dove le emozioni seguono il battito di quei ritmi scanditi con sapienza. Un particolare del suo comporre è l’armonia che proviene dall’assetto fonetico dei testi, e solo chi ha un percorso formativo di rilievo sa incidere la musica giusta nel pentagramma dei versi, sempre con la sua chiave di sol, ossia il messaggio preciso che trasmette, veicolandolo con discrezione.
I suoi componimenti richiamano lo sciabordìo dell’acqua, o leggere folate, senza irruzioni spalancano le porte dell’animo umano e ne dipingono le pareti, riflettendone i colori.. Voglio sottolineare che la sua è una poesia di sensazioni, richiami, echi vicini e lontani. Davvero si avverte nei suoi versi lo scorrere indolente di un corso d’acqua, o l’impeto della pioggia battente sui selciati; è tutto un vortice che tiene viva l’attenzione sulla lettura, prerogativa anche questa, di chi riesce ad acquistare un diritto senza alcun ‘onere’ artistico e morale.
Se volessimo incidere la membrana sottile della sua personalità poetica, si potrebbe dire che a volte il suo dire è simile a un raggio laser che attraversa le penombre delle cose, quelle che solitamente sfuggono alla percezione dei sensi; sono prerogative che derivano dal talento naturale di un artista.
“Sarebbe facile dirti – che la vita va presa sul serio – come una signora in nero –… aspetto che per me -decida l’ironia della sorte – in bilico tra il falso e il vero..”
Zingoni è un poeta che ama andare oltre ogni apparenza, inquisire l’angolo oscuro e portare alla luce le verità più insolenti della vita, senza moralismi né retorica. Questo è in definitiva la sua arte, un laboratorio che ha gli strumenti giusti per estrarre l’essenza da ogni sostanza, per replicare le risonanze delle parole come fossero cellule vive. Questo riferito agli strumenti... le sue frequentazioni lessicali sono certamente il migliore alambicco che gli permette di raffinare il verso, renderlo efficace ma non ridondante, insomma si nota una sorta di ‘alleanza artistica’ tra lui e la parola, finissimo tramite d’ogni poeta nella sua lunga strada di perfezionamento, in quel ‘divenire’ nient’affatto semplice .
Certamente c’è l’esperienza, grande alleata che gli consente ogni sorta di slalom, fino a spingerlo ‘oltre’ il suo profilo, per sperimentare nuove vie affacciandosi in altre sponde.
“Il presente non si nasconde – troppo poco è lo spazio – nella cruna di un ago – il presente è vago e non ha storia..”
Qui il suo narrare del tempo riduce la scena, la comprime, e il verso diventa criptico, riassume eventi, tempo e luci, variabili non sempre alleate della vita.
Zingoni ha partecipato a tante manifestazioni culturali ed ha avuto vari riconoscimenti; ma forse - non è una certezza - egli non ama i clamori, l’amore per la poesia è un’esigenza interiore che lo aiuta ad aumentare l’indice positivo delle sue giornate, una fedele compagna che gli permette di riflettere i suoi stati d’animo e di varcare la soglia dell’ineffabile, ossia la porta del gran Visir, che è poi l’Arte.
Virginia Murru
Conosco questo giovane autore da alcuni anni, ho subito notato il suo
muoversi con disinvoltura tra i meandri della poesia, questa ‘Signora’ dell’Arte
che ancora nel terzo millennio affascina gli animi sensibili, coloro soprattutto
che non si accontentano della visione razionale che i sensi propongono alla ragione, ma amano inquisire la realtà di là dalle apparenze, sollevare altri veli
all’ordine costituito della natura, dell’animo umano e dell’ambiente, per arrivare ‘al fine ultimo di ogni verità’.
‘Mi dico è il senso della piazza: spargimento,
perdita equa per ciascuno, ciascuno offerto da ogni lato
e invulnerabile. Tuffarsi in un traffico o tornare a casa,
chiedono troppi affluenti – e si resta come quei panni.’
(Frammento del poemetto ‘Sensi della piazza’)
Già Déscartes sosteneva la necessità di non fermarsi al profilo che traccia la luce
sui nostri sensi, in maniera tale che la verità possa scaturire da un’elaborazione profonda della realtà.. Dunque è esattamente ciò che
da sempre ha cercato di fare il poeta: sondare questa ‘foresta di simboli’ e riportarne le impressioni con immagini trasposte, riflessi che sono il frutto di
percezioni mentali non di rado in conflitto con ciò che la luce propone al nostro
occhio indulgente sulle cose.
Davide Castiglione è ancora ‘fresco’ di laurea (Lingue e Letterature straniere all’Università di Pavia); ha mosso i primi passi con sicurezza nell’ambito della poesia, le sue capacità espressive derivano da un’inclinazione profonda a plasmare ‘materiale umano e naturale quasi intrattabile’. E’ un giovane poeta innamorato di un mondo di frontiera, che ama scavalcare i limiti e mettere sotto una lente potente stralci di quotidiano; così si può cogliere l’attimo giusto: con pensieri ad alta risoluzione, egli fissa l’obiettivo sulla vita colta in flagrante, anche nei suoi momenti più intimi e riservati, dove l’occhio distratto fatica ad arrivare..
‘L’Arte è soprattutto bellezza, superiore all’intelletto perché non ha bisogno d’essere spiegata’, sosteneva O.Wilde, e da qui partono i ‘regolamenti’ di chi conosce davvero gli orizzonti della poesia, le infinitudini che scandaglia, senza
un est o un ovest.. Le sue strade sono non di rado accidentate, ma il vero poeta sa piegare il tempo e lo spazio, dare un nome anche alle pietre.
«Tra me –
e me c’è stato
un intervallo deserto, un letto solo mio,
questo fiume invernale da ammettere
in cui mi getto a pieno corpo ogni giorno,
in caduta
procurata;
(Frammento tratto dalla raccolta ‘Per ogni frazione’)
Il suo laboratorio poetico non è certo vocato alla staticità, nei suoi versi c’è un’apparente indolenza, come di un corso d’acqua calmo che tuttavia rimuove
detriti dal fondo e li porta a valle,nei pressi di un istmo in cui non di rado la realtà resta indefinita, ma ben tratteggiata, messa a fuoco in ogni suo vertice o angolo acuto..
Leggendo le poesie di Davide si avverte che non si tratta di alchimie o artifici, dal suo personale ‘alambicco’ distilla un’essenza quasi sempre criptata, ma non oscura; i suoi versi non sono viziati di sensazionalismo o ridondanze.
Nello stile chiaro, luoghi della poesia come figure retoriche, enjambement, e ogni altro tipo di espediente linguistico, sembrano dosati con grande parsimonia, senza eccessi che ne pregiudichino la forma e l’assetto fonetico. Certo, come i poeti del nostro tempo non accetta limiti relativi alla metrica o computo di sillabe..
Lo stile è libero e non immune da ‘influenze’ relative a illustri ‘referenti’ di quest’Arte, come De Angelis, o Zanzotto, ma forse anche altri autori moderni avanguardisti.
Certo è evidente che nella sua formazione artistica c’è un lungo percorso di
perfezionamento, una lenta ascesa che lo ha messo davanti all’attenzione di
poeti ormai affermati, quali De Angelis ed altri.
‘Ora ogni parto è in coda alle urgenze:
è un fare e disfare ai bordi del vivere,
nelle piane di calma; ma accertata
la faglia, è paradosso – del costruirci..’ (Versi tratti da ‘Per ogni frazione’)
Nel quotidiano La stampa, del 2006 – Davide era allora poco più che ventenne –
si legge:
“Ha ottime letture, che fortunatamente si vedono in trasparenza, così come in molti si vedono le ... non letture. Ha una buona densità espressiva, un andamento magmatico, e la tendenza a qualche complicazione..”
Io mi permetto un piccolo dissenso sul termine ‘complicazione’.. sono del parere che questa prerogativa di carattere stilistico ed espressivo, non può essere ritenuta motivo di complessità e dunque appesantimento. E’ uno stile ben definito e delineato nei suoi tratti più personali, i suoi testi non hanno letture inestricabili.
Personalità poetica, appunto.
A me pare che lo stile di Davide sia versatile ed eclettico, nonostante l’orientamento del suo comporre; ogni poesia presenta uno scenario particolare sul piano formale, è come un piccolo teatro in cui persone e cose si muovono secondo le tematiche trattate, in armonia con i suoni, le immagini..
‘Così, leggere, indisturbate per un soffio,
le ombre definite nei miei pressi
buttano voci, giù in gola e a piombo me le spingono.’
(Frammenti della poesia ‘Dissociata’)
Io gli rimprovero – se posso permettermi – solo un lieve distacco da quel che racconta in versi, anche quando il contenuto sembra così personale da apparire
autobiografico. Come se osservasse il mondo e se stesso da una distanza di sicurezza, e si rifugiasse in penombra perché la luce a volte fa troppo rumore..
E’ la mia impressione dopo avere letto la sua recente pubblicazione “Per ogni frazione”, dove il verso ha raggiunto una ragguardevole maturità, e dove c’è posto per una razionalità elaborata e interrogata fino all’ultimo micron:
‘Valicherai queste sedute,
in mare non saremo barche
ma un’onda sola,
armonia tornata ignara delle parole.’
(‘Se anche questo è viaggio’)
Ritengo che la pubblicazione di questo libro di poesie (Per ogni frazione), sia il giusto traguardo per un autore che ha atteso con prudenza il momento giusto per proporsi al lettore.
Il suo in definitiva è un saper dire in versi che certamente non può passare inosservato. La competenza e la destrezza sono elementi chiave della sua potenzialità espressiva, e non c’è bisogno di arrivare all’ultima poesia per comprenderlo.
‘Ma
io ammutolito
dentro, io accetto a rovescio
e non serve, gli rimango
intimo straniero – familiare distante..’
(Assedio senza finestre)
(Virginia Murru)
Il mio teatro è già nel futuro
Corrado Visone è una giovane promessa del teatro Ischitano, che ha le idee chiare sul modo in cui un’opera deve essere presentata al pubblico. Come premessa egli dichiara che intende abbandonare i “vecchi” stereotipi e proporre un teatro diverso, portare luce nuova nello spazio scenico, attraverso altre prospettive.
Corrado è nato nel 1983 a Ischia, questa piccola grande isola verde, ideale per l’ispirazione di ogni artista, florida di fermenti culturali, ricca di talenti in ambito teatrale.
Nell’isola ci sono voci autorevoli in questo campo, e tuttavia manca una struttura degna di questo nome per le rappresentazioni, ossia un teatro, autentica spina sul fianco di tutti gli artisti e operatori seriamente impegnati a rinnovare la cornice culturale dell’isola. Qui c’è tanto sdegno verso la scarsa lungimiranza di chi dovrebbe impegnarsi a dotare il territorio di strutture idonee. Le figure professionali, scenografia e scenotecnica, sono importanti per l’allestimento di un teatro, ma occorre… il teatro. Un teatro come luogo fisico, nel quale il pubblico può assistere agli spettacoli, non si può sempre contare in supporti precari, e soprattutto non si può aprire un sipario sulla strada, è finita l’epoca dei saltimbanchi.
Anche Corrado si fa portavoce di queste istanze, finora comunque si declina e si temporeggia, senza dare risposte precise ai tanti che lavorano in questo importante settore.
L’artista ha un’autentica vocazione per il palcoscenico, recitava già all’età di 11 anni nel teatro scolastico, a 14 faceva parte di una compagnia, a 17, con alcuni amici, decise di formare un gruppo compatto (Uomini di mondo), che naturalmente aveva in comune la medesima passione . La compagnia fa parte del TAI (Teatro Amatoriale Italiano, con sede a Roma).
Così è cominciata questa bella avventura, e non si è mai fermata, nonostante gli studi e la sua formazione culturale abbiano chiesto investimenti di tempo per un’adeguata preparazione.
A Napoli Corrado ha studiato Scienze delle Comunicazioni all’Università “Suor Orsola Benincasa”, si tratta di una delle lauree più all’avanguardia in Italia. In questa fase di studi ha conosciuto docenti di notevole importanza, che hanno alle spalle un background di esperienze di primo piano, ossia Annamaria Ackermann, Renato Carpentieri (esperto esterno), Fabrizio Fiaschini - docente a Pavia di Storia del teatro e dello spettacolo medievale e moderno.
“La mia compagnia – sostiene Corrado - è stata scelta nell’ambito del teatro religioso per rassegne teatrali che si occupassero di laboratorio ed esperienze formative, le quali devono avere in qualche modo attinenza come tema e idee di fondo, all’attività delle parrocchie. Abbiamo lavorato anche in un orfanotrofio. “
Ad Ischia collabora con Eduardo Cocciardo, e tiene a sottolinerare che porta avanti un’idea di teatro che abbia simmetrie e aderenze più credibili col nostro tempo, stimoli e incuriosisca le nuove generazioni a frequentare le rappresentazioni teatrali. In altre parole nei suoi obiettivi c’è l’intento di rinnovare il concetto di teatro, riducendo al massimo gli stereotipi, e proponendo altre formule, più consone alla società di oggi.
“Arte è tutto ciò che sa coinvolgermi e stupirmi” – afferma – c’è un uso eccessivo di testi napoletani, che portano alla “macchiettizzazione”, il teatro è anche questo, ma non solo. Io curo particolarmente i testi, si va dalla farsa alla commedia, e tuttavia vorrei andare oltre l’aspetto ironico, in teatro la risata, il comico-grottesco, non possono essere il fine ultimo, esistono diversi modi per intrattenere il pubblico coinvolgendolo in altre direzioni, altre emozioni.
Io e la mia compagnia abbiamo concezioni di fondo comuni per quel che concerne l’attività teatrale, non ci riguarda se un’idea originale è per conseguenza una via poco battuta, e dunque non è totalmente compresa o condivisa, il teatro contemporaneo, l’avanguardismo, non hanno mai dato rilievo eccessivo alla critica, è chiaro che un concetto nuovo ha moduli espressivi che tendono ad allontanarsi dai soliti canoni…
Forse per coerenza con il nostro modo d’intendere quest’arte, non abbiamo mai fatto parte di altre compagnie. Vengo dal teatro dell’esperienza, mi è capitato di recitare in ”sequenze sceniche” che portavano da una stanza all’altra, il pubblico attento certamente notava il legante nelle scene che si susseguivano, e alla fine era semplice interpretare questi passaggi, il messaggio che veicolavano e il significato.”
Corrado sostiene dunque che si percorrono vie di sperimentazione, e non esistono “manifesti”, ma è ovvio l’intento di abbandonare certi orientamenti, col coraggio di chi vuole dare un’impronta personale alla sua arte, affrontando tematiche più universali, non fossilizzandosi sulle proprie radici. Il suo è un teatro in lingua (Italiana..), nella sua compagnia vengono rappresentati per il 99% autori stranieri, il resto, ossia l’1%, sono testi scritti dall’artista.
Ama il teatro che sfiora l’assurdo senza esasperazioni, dunque quello contemporaneo, di Ray Cooney, tanto per citarne uno; riconosce il grande valore dell’opera di Jonescu – rumeno di nascita e francese d’adozione - grande rappresentante del teatro dell’assurdo, che ha portato in scena la famosa “Cantatrice calva”. La sua è davvero un’opera speculare che riflette la nostra congestione esistenziale, che parla tanto ma non è davvero in grado di comunicare, si aggrappa all’ostentazione e non sa dissimulare, non sa andare oltre la forma e le convenzioni. Puro archetipo di una società imbrigliata su se stessa, incapace di andare contro le sue ombre.
Da questi elementi caratterizzanti il malessere della società moderna, nasce il teatro dell’assurdo, via già percorsa da altri ‘pionieri’ (nella genesi letteraria di questa corrente teatrale c’è Alfred Jarry, per esempio…), ma non si può certo dimenticare Samuel Beckett, Jean Tardieu e altri capisaldi di questo genere. In Italia si è sempre fatto riferimento ad Achille Campanile, anche se egli non ha mai davvero confermato di farne parte.
D – Sono importanti i riconoscimenti per chi svolge attività teatrale? Nel corso della sua carriera artistica ne ha ricevuto qualcuno?
R – La mia compagnia non ha ricevuto premi finora. Non vuole essere una provocazione, ma lo considero quasi un buon auspicio… nel senso che per me e la mia compagnia può anche non essere negativo; il teatro (e il mondo in cui opera), ha una valenza sociale e uno spettro così ampio d’azione, che costringerla alla pura rappresentazione penso sia riduttivo. A noi bastano i consensi del pubblico, l’incoraggiamento della critica. Il teatro, nella pura accezione del termine, è il luogo dell’espressione, dove si spezzano i vincoli con tutte le maschere circolanti all’esterno. Luogo nel quale, la realtà e i suoi estremi, possono trovare dimensioni precise d’interpretazione.
D – E’ l’idea personale del teatro che è cresciuta con lei, o lei è cresciuto col teatro?
Penso entrambe le cose, si da e si riceve, come in una partita doppia. E’semplicemente la dinamica della vita.
Corrado Visone è una giovane promessa del teatro Ischitano, che ha le idee chiare sul modo in cui un’opera deve essere presentata al pubblico. Come premessa egli dichiara che intende abbandonare i “vecchi” stereotipi e proporre un teatro diverso, portare luce nuova nello spazio scenico, attraverso altre prospettive.
Corrado è nato nel 1983 a Ischia, questa piccola grande isola verde, ideale per l’ispirazione di ogni artista, florida di fermenti culturali, ricca di talenti in ambito teatrale.
Nell’isola ci sono voci autorevoli in questo campo, e tuttavia manca una struttura degna di questo nome per le rappresentazioni, ossia un teatro.
Un teatro come luogo fisico, non si può sempre contare in supporti precari, e soprattutto non si può aprire un sipario sulla strada, è finita l’epoca dei saltimbanchi.
L’artista ha un’autentica vocazione per il palcoscenico, recitava già all’età di 11 anni nel teatro scolastico, a 14 faceva parte di una compagnia, a 17, con alcuni amici, decise di formare un gruppo compatto (Uomini di mondo), che naturalmente aveva in comune la medesima passione. La compagnia fa parte del TAI (Teatro Amatoriale Italiano, con sede a Roma).
Così è cominciata questa bella avventura, e non si è mai fermata, nonostante gli studi e la sua formazione culturale abbiano chiesto investimenti di tempo per un’adeguata preparazione.
A Napoli Corrado ha studiato Scienze delle Comunicazioni all’Università “Suor Orsola Benincasa”, si tratta di una delle lauree più all’avanguardia in Italia. In questa fase di studi ha conosciuto docenti di notevole importanza, che hanno alle spalle un background di esperienze di primo piano, ossia Annamaria Ackermann, Renato Carpentieri (esperto esterno), Fabrizio Fiaschini - docente a Pavia di Storia del teatro e dello spettacolo medievale e moderno. “Arte è tutto ciò che sa coinvolgermi e stupirmi” – afferma – c’è un uso eccessivo di testi napoletani, che portano alla “macchiettizzazione”, il teatro è anche questo, ma non solo.”
D – Sono importanti i riconoscimenti per chi svolge attività teatrale? Nel corso della sua carriera artistica ne ha ricevuto qualcuno?
R – La mia compagnia non ha ricevuto premi finora. Non vuole essere una provocazione, ma lo considero quasi un buon auspicio… nel senso che per me e la mia compagnia può anche non essere negativo; il teatro (e il mondo in cui opera), ha una valenza sociale e uno spettro così ampio d’azione, che costringerla alla pura rappresentazione penso sia riduttivo.
D – E’ l’idea personale del teatro che è cresciuta con lei, o lei è cresciuto col teatro?
Penso entrambe le cose, si da e si riceve, come in una partita doppia. E’semplicemente la dinamica della vita.
Sapevo molto poco dell’attività teatrale di Lucia prima dell’intervista, svoltasi in una sera anonima di febbraio, in modo spontaneo, semplice,
senza riti formali o convenzioni di sorta. Dalla voce ho subito dedotto che si tratta di una giovane donna, impegnata seriamente nell’ambito del suo ruolo d’interprete nella compagnia della quale fa parte, il cui appellativo è piuttosto eloquente ‘Uomini di mondo..’
Dietro l’attività teatrale di Lucia, c’è un intenso iter di studi, un percorso formativo che le ha permesso di fissare solide basi. Ha frequentato corsi di recitazione all’Accademia Vincenzo Bellini di Napoli, poi il laboratorio di recitazione al Teatro Bracco: si tratta di un avvio prestigioso volto a fissare i cardini di una seria preparazione nell’ambito del teatro.
Lucia non ha comunque svolto solo ruoli nel versante del teatro popolare, archetipo che identifica per esempio De Filippo o Scarpa; la sua esperienza comprende anche la commedia brillante, impostata sui criteri del teatro contemporaneo, sulla falsariga di Ray Cooney, tanto per intenderci.
D. – Qual è l’impatto emotivo che avverti quando si apre il sipario?
R - Ogni volta che si apre il sipario è come fosse la prima volta.. provo le stesse emozioni. E tuttavia mi sento psicologicamente ‘carica’, pronta a ‘varcare’ la soglia di un nuovo ruolo, mi abbandono totalmente alla scena e mi sento pronta ad interpretare le caratteristiche del personaggio ‘di turno’..
D – Poiché le sue prime esperienze risalgono ad un’età in cui era piuttosto giovane.. il suo carattere era pronto per l’attività teatrale, il contatto con il pubblico, oppure è stata una conquisto che ha richiesto ‘rettifiche’ nel suo modo d’essere?
R – Ero d’indole introversa agli esordi, c’era certamente la passione e il trasporto verso quest’arte, emotivamente mi concedevo al pubblico con slanci generosi nel corso delle rappresentazioni, ma ostentavo la mia sicurezza.
D – Sentiva dunque una motivazione di fondo..
R – Ho sempre inteso la mia inclinazione – o vocazione - come motivo di crescita personale, il teatro è un mezzo d’eccellenza che ti permette di portare in luce angoli inediti dell’animo umano
D – Dunque ritieni che lo spazio scenico, in questo senso, pur essendo ‘finzione’, risorsa fittizia del quotidiano, sia in definitiva invece più autentico della realtà..
R – Assolutamente sì, tenendo conto, appunto, del risalto scenico,
di quell’esasperazione che mira a mettere a fuoco proprio la realtà, e che comunque non è mai astrazione
D – Il tuo impegno artistico nell’ambito del teatro, è un impegno che assorbe tutto il tempo libero, o ti occupi anche d’altro?
Sapevo molto poco dell’attività teatrale di Lucia prima dell’intervista, svoltasi in una sera anonima di febbraio, in modo spontaneo, semplice,
senza riti formali o convenzioni di sorta. Dalla voce ho subito dedotto che si tratta di una giovane donna, impegnata seriamente nell’ambito del suo ruolo d’interprete nella compagnia della quale fa parte, il cui appellativo è piuttosto eloquente ‘Uomini di mondo..’
Soffermandomi qualche istante su questo dettaglio, il rimando alla tipica commedia Napoletana è praticamente naturale. E’ facile pertanto, rievocare ambienti e scenari caratteristici, emblematici della ‘Napoletanità’, dunque freschezza di ruoli e veracità di personaggi, dialoghi nei quali la passione e la naturalezza hanno radici profonde e brillanti..
Mentre Lucia raccontava di sé, del suo mondo, tracciando un prospetto chiaro delle sue esperienze, ogni tanto s’insinuavano nel mio pensiero figure di grandi rappresentanti del teatro Napoletano, come i De Filippo, Troisi.. autentici capisaldi nell’impianto scenico del teatro Italiano. Sarà stata la semplicità di quel suo raccontarsi schietto, o forse il vago intuire della passione che la vincola ai ruoli che interpreta, il fluire d’immagini e ricordi, emergenti da un background che non si è retto comunque sulla sola inclinazione verso questa forma espressiva d’Arte, ma anche su una seria preparazione, difficile dire..
Certo è che la chiacchierata è stata come una porta aperta sugli angoli più esclusivi di una vita artistica esibita con modestia e semplicità, qualche riserva forse, ma comprensibile.
Come sempre dietro le quinte di un traguardo c’è un percorso preciso, talora strade libere, altre invece dissestate, quasi corse ad ostacoli. Dietro l’attività teatrale di Lucia, c’è un intenso iter di studi, un percorso formativo che le ha permesso di fissare solide basi. Ha frequentato corsi di recitazione all’Accademia Vincenzo Bellini di Napoli, poi il laboratorio di recitazione al Teatro Bracco: si tratta di un avvio prestigioso volto a fissare i cardini di una seria preparazione nell’ambito del teatro.
Lucia non ha comunque svolto solo ruoli nel versante del teatro popolare, archetipo che identifica per esempio De Filippo o Scarpa; la sua esperienza comprende anche la commedia brillante, impostata sui criteri del teatro contemporaneo, sulla falsariga di Ray Cooney, tanto per intenderci. Dunque un impatto moderno, rivisitando di tanto in tanto qualche sketch di Troisi, autentica colonna della commedia Napoletana (cabaret, nello specifico).
L’attività teatrale di Lucia D’Ambra si svolge prevalentemente nel Golfo di Napoli, anche se sporadiche rappresentazioni l’hanno condotto al di fuori di questi ‘confini’.
D. – Qual è l’impatto emotivo che avverti quando si apre il sipario?
R - Ogni volta che si apre il sipario è come fosse la prima volta.. provo le stesse emozioni. E tuttavia mi sento psicologicamente ‘carica’, pronta a ‘varcare’ la soglia di un nuovo ruolo, mi abbandono totalmente alla scena e mi sento pronta ad interpretare le caratteristiche del personaggio ‘di turno’; la trasposizione di quell’identità avviene in modo naturale. Un buon interprete deve sapere ‘abbandonare’ se stesso e ‘indossare’ l’anima di chi sta rappresentando..
D – Caratterizzare il personaggio, dunque, senza che lo spettatore s’avveda del senso del passaggio, o se vogliamo, trasposizione..
R - Esatto, si tratta delle fondamenta di quest’arte, bypassare, andare oltre il sé ed essere il più possibile in sintonia con la personalità che si sta interpretando.
D – Poiché le sue prime esperienze risalgono ad un’età in cui era piuttosto giovane.. il suo carattere era pronto per l’attività teatrale, il contatto con il pubblico, oppure è stata una conquisto che ha richiesto ‘rettifiche’ nel suo modo d’essere?
R – Ero d’indole introversa agli esordi, c’era certamente la passione e il trasporto verso quest’arte, emotivamente mi concedevo al pubblico con slanci generosi nel corso delle rappresentazioni, ma ostentavo la mia sicurezza, la quale è venuta col tempo.. conquista maturata con l’esperienza.
D – Sentiva dunque una motivazione di fondo.. c’era pertinacia e lungimiranza nel perseguimento degli obiettivi che si era prefissa, quali la notorietà e il possibile successo, o non aveva precisi traguardi davanti a sé.. non aveva messo in conto questi risultati..?
R – Ho sempre inteso la mia inclinazione – o vocazione - come motivo di crescita personale, il teatro è un mezzo d’eccellenza che ti permette di portare in luce angoli inediti dell’animo umano, ti porta a raggiungere profondità inaudite direi, che il nostro stile di vita – basato non di rado sulla superficialità – non permetterebbe altrimenti di scandagliare.
Il teatro fissa l’obiettivo sulla scena, sulle peculiarità più salienti e profonde nell’animo della gente comune.
D – Dunque ritieni che lo spazio scenico, in questo senso, pur essendo ‘finzione’, risorsa fittizia del quotidiano, sia in definitiva invece più autentico della realtà.. In qualche modo estro di vita compatibile con l’atto di una commedia, sia pure esacerbato ed esaltato, in ogni caso credibile sul piano espressivo della narrazione..
R – Assolutamente sì, tenendo conto, appunto, del risalto scenico,
di quell’esasperazione che mira a mettere a fuoco proprio la realtà, e che comunque non è mai astrazione, se la compagnia teatrale è davvero seria..
D – C’è stato un momento in cui ti sei sentita insidiata dal dubbio, o puoi riesumare qualche episodio che ti ha fatto provare smarrimento, magari non più motivata a proseguire?
R – Sì, è accaduto, come succede in tutte le professioni, credo.. Ho avvertito un profondo senso di delusione e scoraggiamento dopo gli studi al teatro Bracco. Ritenevo d’essermi integrata nella compagnia, e speravo fortemente che il rapporto di collaborazione continuasse a lungo..
Ero sprovveduta, penso, non sufficientemente preparata ai ‘cambiascena’ della vita, che non è il teatro migliore per imparare lezioni di razionalità..
Ho sublimato questa delusione con una pausa di riflessione, dedicandomi per esempio al canto, e ad altre forme espressive d’arte, quali il disegno..
D – Le sue interpretazioni si sono sempre svolte in dialetto Napoletano, oppure anche con testi scritti in Italiano?
R – Nel corso dei primi anni, le compagnie nelle quali recitavo, privilegiavano modi espressivi popolari, poi l’aspetto linguistico è stato rivolto in gran parte all’Italiano.
D – Il tuo impegno artistico nell’ambito del teatro, è un impegno che assorbe tutto il tuo tempo libero, o ti occupi anche d’altre attività?
R – E’ subalterno.. durante il giorno svolgo anche un lavoro.. diciamo così, ‘normale’.
L’impressione che ne ho tratto è che Lucia è rimasta una persona semplice, non incline all’illusione, immune da quei sentimenti che possono in qualche modo ‘corrompere’ l’animo di chi svolge un’attività di questo tipo, frequentando dunque un ambiente nel quale l’ambizione e talvolta l’immodestia, possono allontanare ‘dal centro’, ossia l’equilibrio autentico di una persona. In spiccioli cambiare le prerogative di un carattere vulnerabile.
Lei è una donna giovane, ma con un forte senso della razionalità e ponderazione. Restare semplici non è un dato scontato, si fa presto a saltare gli steccati..
Massimo Troisi lo sapeva bene.
Nel corso di un’intervista, un giornalista gli chiese come mai fosse rimasto un uomo semplice, dopo tanto successo.. Egli rispose in maniera disarmante, tipico del suo modo d’essere: ‘Semplici si nasce..’- rispose – ‘Se prima eri un imbecille, diventi imbecillissimo, se eri semplice e umano, diventi umanissimo. Il successo è la lente d’ingrandimento per capire com’eri prima..’
E’ proprio così. Il teatro resta tuttavia uno dei mezzi più ‘fini’ per inquisire l’animo umano. Molère ce lo ha ben insegnato, e non è stato il solo, ovviamente..
Il titolo è piuttosto eloquente, l’Araba fenice è simbolo di rinascita, in qualche modo di rinnovamento, e la protagonista del romanzo, dopo un percorso di vita segnato da prove durissime, approda in un porto franco della vita, che da anni non frequentava più: la propria libertà, la coscienza dell’essere, dell’esistere.
E’ come se il tunnel nel quale è stata scaraventata sia lentamente crollato riscoprendo di nuovo la bellezza di un cielo libero, l’impressione è che il tempo si sia fermato ad aspettarla. Sono le considerazioni di questa madre, io narrante
della storia, espresse quasi con liberazione negli ultimi paragrafi.
L’intreccio della narrazione si basa sulla rievocazione di ricordi, impressi in maniera indelebile nella memoria di chi racconta, non segue propriamente un ordine cronologico. L’autrice sa cogliere ogni dettaglio dello stato emotivo dei suoi personaggi, ogni tumulto intimo, e mentre ne descrive il travaglio li tratteggia e li caratterizza, in modo naturale, senza forzature, semplicemente ciascuno è il risultato di un profilo definito dal succedersi e alternarsi dei vari avvenimenti.
Quando il padre di Anna, in seguito ad un rapporto extra coniugale, lascerà la famiglia, si vivrà in un clima di simbiosi, sullo sfondo di un’attesa, forse agognata, del ritorno; ma invano. I giorni passano in una sorta d’incantesimo, la madre di Anna è persona reattiva, ma il quotidiano è comunque un iter durissimo, l’aria è diventata plumbea, fuori splende un sole estraneo, che sorge e tramonta per riscaldare gli altri. E’ l’intimo di una persona ferita dall’abbandono: umanamente nessuno avrebbe potuto fare di più per la propria creatura. Si può indossare anche ogni giorno un abito da cerimonia, perché coloro che ci stanno intorno lo apprezzino, ma senza che arrivi uno slancio di riflesso nell’animo di chi lotta per non soccombere emotivamente.
In realtà il personaggio in rilievo non è Anna, anche se tutta la narrazione ruota intorno all’asse portante della sua vita, nelle varie fasi della crescita; come tutti i figli di genitori separati o in difficoltà, è spettatrice passiva del dramma che lentamente matura ed evolve tra le pareti di casa nel corso della sua infanzia. Sarà ormai una donna quando prenderà atto delle ragioni che hanno determinato la solitudine della madre, di quel clima familiare gestito con cura, attraverso le attenzioni e le premure di una donna che ‘replica’ la sua presenza per non farle sentire il vuoto della mancanza, ossia del padre, il quale ha fatto le sue scelte allontanandosi dalla famiglia.
Siamo ormai all’epilogo della storia quando la vera protagonista, ossia la madre di Anna, traccia le linee ingrate di un bilancio redatto con le ‘cifre’ irrazionali del dolore, denominatore comune di tutte le vicende raccontate con perizia, dove l’impatto emozionale non condiziona l’esposizione asettica e verosimile della storia di queste donne. Direi che qui il dolore è lo scandaglio impietoso che rivolta ogni verità, senza indulgere sui momenti più critici, per i quali non ci sono ponti da erigere, ma solo i mezzi precari dell’ostentazione e della lotta con se stessi, per andare verso un oltre che proietta ombre sinistre di solitudine e rabbia. mai davvero metabolizzate: il rigetto della realtà non permette sublimazioni. Si parla del periodo precedente alla separazione e quello immediatamente successivo, poi il vissuto assume contorni di quiete e normalità.
La lotta interiore è l’elemento costante di tutta questa catarsi, che troverà un riscatto solo attraverso la coscienza di sé, e i richiami della vita, che ha presentato le sue istanze, per anni ignorate. Perdere il proprio uomo, per la madre di Anna, è stato un trauma che non si poteva rimuovere, soprattutto perché nel corso dei primi anni, il tradimento del marito lo considerava inconcepibile, per dirla con un luogo comune, ‘un fulmine a ciel sereno’, dunque immotivato, al punto da non dovere sussistere come circostanza prevedibile e accettabile.
Non si tratta di una storia banale di tradimenti, con le ripercussioni morali e psicologiche, qui il dolore viene inquisito, indagato in tutti i suoi aspetti laceranti; l’autrice arriva fino agli abissi più reconditi di una burrasca affettiva che la coinvolge totalmente, quasi paralizza il corso della quotidianità, che ha uno svolgimento segnato dagli strali dell’assenza, dal cinismo dell’altro, la totale noncuranza verso chi è stata in qualche modo rinchiusa nei ripostigli del cuore.
Chi ama non trova mai giustificazioni esatte ad un dramma che divora e logora mente e corpo, può solo stare in una trincea, e lottare senz’armi, perché non ha più nulla per difendersi, e soprattutto non c’è più niente da difendere; tutto diventa ineluttabile, inesorabile, contorta sintassi del destino, il quale non sempre permette rettifiche sui questi errori.
Leggendo, il dolore quasi prende forma, perché la narrazione è avvincente, conduce per mano dentro quelle mura nelle quali lo squallore ha preso il posto dell’aria serena, ed esso dilaga fino a riempire ogni spazio vuoto, lasciando immune, ma solo in apparenza, la piccola Anna.
Almeno fino a quando, ormai cresciuta, non scoprirà uno strano e voluminoso carteggio dentro un cassetto, e qui, come se una mano ignota l’avesse in qualche modo guidata, troverà finalmente le ragioni dei sorrisi inventati della madre, dei suoi occhi accesi con una luce artificiale, creata per illuminare in modo fittizio le sue giornate.
Sono scenari che riguardano il periodo più critico, perché man mano che la vita continua il suo corso, si creano nuove atmosfere, ci si sporge di nuovo sui davanzali del presente, si sorride, si converte il negativo in impegni che gratificano, e vanno oltre quella coltre scura, che tutto nei primi mesi aveva oscurato.
Anna prenderà atto del passato attraverso il filo di seta di quella materia rovente, parole che fluiscono veloci in quelle lettere scritte di getto e mai spedite al destinatario: troverà stralci ancora caldi di memoria che non passeranno indenni nel suo animo sensibile.
Come giudicare? Come? Gli interrogativi hanno responsi che si consumano al buio, come candele che hanno la pretesa d’illuminare un astro in parte sconosciuto, e non sono tutti scontati. I ricordi non l’aiutano perché la madre è stata troppo impegnata a costruirle intorno una normalità che non permetteva sguardi oltre questo steccato, voluto per difesa e protezione della piccola.
E’ l’istinto materno che l’ha preservata da angosce che non avrebbe potuto convertire con la ragione, troppo acerba per addentrarsi nelle traversie delle vicende umane, nei rapporti diventati insostenibili tra i genitori.
Volutamente la madre ha eluso qualche sua domanda in merito, perché forse disperatamente cercava di rimuovere le scorie e i detriti di quel dolore, per paura di ripercorrere a ritroso un tracciato di vita ancora insidioso.. Non a caso
l’autrice cita nel romanzo i versi di Emily Dickinson:
E’ una curiosa creatura il passato../..
Se qualcuno l’incontra disarmato,
presto, gli grido, fuggi!
Quelle sue munizioni arrugginite
possono ancora uccidere.
Nel corso dei primi mesi, di fronte ad una sofferenza che dilania il proprio intimo - perché vengono meno le colonne portanti della propria esistenza - ci si sente con le radici per aria, ed è pertanto ovvio che si tenda a fuggire, perché il passato è un conto mai davvero chiuso, l’esperienza ha superato forse le proprie risorse, le difese, rischiando di travolgere anche l’equilibrio.
Superati i mesi più difficili, l’atmosfera è diventata sempre più serena, ci sono stati spazi per i momenti lieti del quotidiano, il desiderio di andare oltre quella linea d’ombra, coltivando tanti interessi, coinvolgendo anche la piccola e riprendendo così il ritmo della normalità, è stata in definitiva un’esigenza istintiva, consapevoli che non si può consegnare la chiave del proprio destino a chi ha deciso nostro malgrado di cambiarlo.
Solo grazie allo spirito combattivo e alla forza del suo carattere, questa donna troverà le energie per portare la sua vita oltre il confine dell’arresa, fino a ritrovarsi integra, indenne dai morsi del dolore, pronta a passare sopra quel ponte, la cui struttura altro non è che sfida col proprio destino, il desiderio inconscio di raggiungere l’altro versante, con nuovi prospetti, degni di un futuro migliore. La vita del resto l’ha sempre attesa dietro l’angolo..
RECENSIONI SU IBS - LIBRERIA ON LINE (25-09-2009) |
-------Messaggio originale-------
Data: 28/09/2009 10.48.47
A: pinoloz
Oggetto: recensione
cara viriginia, recensioni sui miei romanzi ne ho lette tante. annovero la tua su ibs tra le migliori. ti ringrazio.
marco
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Versione: 8.5.409 / Database dei virus: 270.13.113/2399 - Data di rilascio: 09/27/09 17:52:00
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16-09-2008)
Libro - L' anima della memoria - Arba Rita
Un titolo che esprime davvero l’intento dell’autrice di ripercorrere a ritroso i luoghi della memoria, non sempre agibili, talora anzi strade dissestate, ma non impraticabili. Ho apprezzato il tema svolto secondo orientamenti storico-affettivi, e quelle voci dimesse, ma non asservite all’arroganza del destino, il quale non di rado impone i suoi rigidi regolamenti, senza chiedere un parere, o un appello.. L’ambiente è stato ben delineato, con i suoi schietti profili, e gli episodi sono stati narrati con dovizia di particolari, come fossero frutti ancora pendenti, dai rami della memoria, appunto.. Ben caratterizzati anche i personaggi che seguono le loro traversie e lottano dalla trincea di un quotidiano pieno d’insidie e rinunce; ma ogni mattina pronti a rinnovare il rito di quel vivere ingrato, a strappare una nuova conquista al loro procedere. Sullo sfondo una comunità ancora immersa nelle verità ancestrali del luogo, dove il progresso faticava a trovare percorsi di cambiamento in quel clima d’immanenza, e neppure i ‘salti’ generazionali, portavano significativi miglioramenti sul versante economico, mentre i costumi e le consuetudini si perpetuavano, col loro seguito di superstizioni; stile di vita tipico delle più remote provincie Sarde. Ci sono momenti davvero toccanti, in rilievo c’è la sfera emozionale dei protagonisti, e l’avvicendamento dei vari episodi, a volte semplice norma, scenari naturali, altre volte lampi che sconvolgono i destini.. Una linea d’alternanza quasi in sintonia con le stagioni e i ritmi di questa generosa terra, che tutto racchiude in sé, forse con misteriosa egemonia, e chiede rispetto, acquiescenza.. Un bel libro, sicuramente.
Voto: 5 / 5
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Nella compagine degli artisti che hanno aderito al progetto culturale "La nostra isola",
abbiamo l’onore di annoverare anche Eduardo Cocciardo, certamente uno dei personaggi
più interessanti, attivo in tanti fronti della cultura, e pertanto completo, poliedrico sul versante artistico.
è legittimo figlio di Ischia, nella quale è nato e per la quale ha sempre sentito un forte senso di appartenenza, anche quando, per ragioni di studio e di lavoro, ha dovuto allontanarsene.
I colori, le trasparenze schiette e i cieli tersi di quest’isola, sono evidentemente il contesto ideale per l’ispirazione dell’artista, il quale sostiene che per coloro che scrivono e svolgono attività teatrale, le proprie radici sono fonte d'ispirazione naturale, richiamo ineludibile dell’ambiente in cui si è vissuto, con le peculiarità antropologiche, il dinamismo della società sul piano umano, sociale, morale.
Dunque vie percorse tra i vizi e le virtù della gente comune.
Senza dimenticare il profilo umano e psicologico dei personaggi portati in scena, che di norma hanno un background di periferia, requisiti affini alle consuetudini popolari, dai quali si trae la linfa migliore per le rappresentazioni teatrali.
Le fondamenta della sua passione per il teatro le troviamo già nelle profonde “zolle” del suo iter artistico, ossia nell’infanzia e nell’adolescenza; poi è stata un’ascesa ininterrotta, fino a ritrovare questa sua passione ancora più forte e chiara, nel corso degli studi universitari, che culminano in un delta di ricerche orientate in queste prospettive. La sua tesi di laurea infatti è un saggio praticamente monografico su Massimo Troisi, intitolata “L’applauso interrotto” con sottotitolo “Poesia e periferia nell’opera di Massimo Troisi”.
Nello scorso mese di Maggio, Eduardo ha portato in scena a Casamicciola Terme una commedia dal titolo “Stu vicu niro” (Questo vicolo nero), che ha dedicato a Napoli, città che continua a sopravvivere all’ombra dei suoi vicoli bui.
Virginia Murru
C’è qualcosa di vagamente malinconico nei componimenti di Franco Calise, poeta
Ischitano che vive in simbiosi con quest’isola affascinante e i suoi paesaggi perlacei, mediterranei.
C’è tutto un mondo che palpita all’unisono tra anse, correnti marine e litorali, colli che si ergono
fieri come sentinelle, zefiri estivi che sfiorano appena la macchia e i vitigni, fino a lambire sommità che sembrano inaudite per la sua gente e la superficie contenuta dell’isola. Ecco.. tra i versi di Franco trovi ogni tanto qualche asperità - corrispondenze le chiamerebbe Baudelaire – simili
ai picchi di roccia che sovrastano le modeste altitudini dei rilievi di Ischia, e poi delicatamente, questi panorami poetici ‘scendono’ a valle, circondano perimetri umani e ne descrivono le ampiezze emozionali, ne addolciscono i tratti e si soffermano sui colori di un attimo di ebbrezza o di tormento, in una commistione di sensazioni che fanno parte della natura umana e dell’ambiente.
Come quello esuberante e lussureggiante di Ischia, che vive di quiete e passioni forti, mai domate
dagli elementi che vi portano la loro eco, senza mai averne ragione..
Sono lo specchio della mia anima in tumulto
la noia di domani sarà uguale a quella di oggi..” – (Autunno)
E’ una vita incombente; la vita è un soffio che a volte urla di gioia nelle strade, o una risacca sulla riva pronunciata come un contralto, tra i lirismi delle pinete o nei giardini delle ville Ischitane. Ci sono
tumulti che sembrano aliti di vento, e silenzi che s’alzano come correnti ascensionali verso il cielo
e le sue luci policrome. Questa è l’impressione che ne ho tratto leggendo i versi di Franco Calise,
poeta bohèmien con un pregevole ‘assolo’, dopo ogni componimento ho la vaga sensazione di sentire
battiti d’ali e involi nei liberi spazi dell’inquietudine umana, non tutto viene svelato in queste cromie forti e ammiccanti ad episodi di vissuto, a volte la via di questo estro resta sospeso, inconcluso.. in apparenza. Franco, infatti, credo abbia una personalità un pò riservata, forse schiva, e non sempre permette che si varchi il confine dei suoi conflitti più intimi, delle gioie o esultanze.
Come avesse pudore di rivelarsi, in qualche modo:
“.. io, sono stato io
a darti una barca troppo piccola
e tu non riesci a navigare in questo mare..” – (Figlio)
A volte penso che il suo sentire sia come un frutto indeiscente: l’essenza c’è, il frutto è al suo interno, ma non di rado si apre solo quando cade al suolo.
Il suo è un estro balzano, si avvale di semplici espedienti linguistici, ma è la semplicità che spesso
sa celare meglio le involuzioni e le esplosioni di un estro artistico. Franco, oltre ad amare incondizionatamente la sua bellissima Ischia, è anche un artista eclettico, ha multiformi canali espressivi, quali la fotografia e la pittura, passioni che esibisce con cautela, ma che muovono i suoi virtuosismi e le sue intime rivoluzioni compositive:
.. e poi l’alba di un giorno di pioggia
le nuvole dense e amiche
le pietre bagnate che danno calore
l’affanno del cane
persino il dolore
il dolore di chi come me aspetta un’altra aurora.” – (Appunti per un’anima di un corpo doloroso)
Virginia Murru